«Il tempo è per noi un problema, un inquietante ed esigente problema, forse il più vitale della metafisica: l’eternità, un gioco o una faticosa speranza»
Con questa frase di Jorge Luis Borges (Breve storia dell’eternità, 1936) vorrei iniziare questa mia riflessione sul tema “L’effimero e l’eterno”.
La contrapposizione ossimorica che creano questi due termini, è espressione di un’antitesi che fa parte di noi esseri umani. E’ un contrasto di concetti che riflette il contrasto dell’esistenza umana, che si dispiega nella tensione tra l’effimero e l’eterno, tra il quotidiano transitorio e la tendenza verso il permanente, tra la consapevolezza della breve durata della vita e la speranza dell’eternità, tra l’attimo fuggente e l’immortalità, tra il finito momentaneo e l’infinito illimitato.
Questa tendenza all’eterno, all’assoluto, all’immortale è la spinta che ha portato il genere umano a superare la propria contingenza e finitezza attraverso la pratica dell’arte. Come ha affermato Charles Baudelaire: Il compito dell’arte consiste nell’“estrarre l’eterno dall’effimero”. (Il pittore nella vita moderna, 1863).
Tutte le manifestazioni artistiche o creative possiamo inquadrarle in questo desiderio: trasformare una emozione, un sentimento, un pensiero, una storia, un’immagine, una persona in qualcosa che resti oltre il tempo labile in cui si è manifestata.
Non a caso il mito dell’origine della pittura, come scrive Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, racconta che una ragazza di Corinto, «presa d’amore per un giovane, e dovendo questi partire, alla luce di una lanterna fissò con delle linee il contorno dell’ombra del viso di lui sulla parete», per conservarne il ricordo. Il gesto della ragazza, tramite il suo stilo che disegna l’ombra, vuole conservare in modo permanente l’immagine fuggitiva del suo amante. Lo immortala.
E che cosa fa la fotografia, se non immortalare l’attimo che fugge? Se non trasformare il transitorio in eterno?
La fotografia (come le altre arti, ma in una maniera più pregnante) è infatti il punto di equilibrio tra questi due mondi e li contiene entrambi, legando la transitorietà di un momento (che può essere brevissimo, millesimi di secondo) alla fissità permanente dell’immagine. La stessa lingua usata comunemente parla di “immortalare” una persona o una situazione. Ecco che il nostro desiderio di eternità si incarna nello scattare le fotografie, nella loro dimensione figurativa duratura.
Ma come fa la fotografia a captare, oltre che l’istante significativo di un flusso fragile e mutevole, il desiderio drammatico di eternità che noi viviamo?
Parafrasando Tennessee Williams che scrive “Cogliere l’eterno nel disperatamente effimero è la grande magia dell’esistenza umana.” (La rosa tatuata, 1951), noi potremmo affermare che la grande magia della fotografia sta nel saper cogliere l’eterno nel disperatamente effimero. Sta nel trovare il punto di contatto che unisce questi due aspetti chiave della realtà, e farli divenire due facce della stessa dimensione: della stessa immagine.
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